giovedì 14 novembre 2013

Recriminazioni

-Posso chiederti qualcosa?
-Certo.
-È stato facile?
-Cosa è stato facile?
-Lasciarmi. Dire tutte quelle cose belle e poi andarsene come se non fosse niente. Come se noi non fossimo stati niente. Come se io non fossi niente.
Giulia Carcasi
Studiare l'etimologia delle parole è sempre affascinante. Il verbo recriminare, ad esempio, deriva da re (addietro) e criminàri (accusare, attribuire un delitto), quindi rispondere all'accuse di un delitto con l'accusa di un altro delitto, da cui in senso più generico rispondere ad un'accusa con un'altra accusa.
  Effettivamente, riflettendoci, in amore le recrinazioni hanno la funzione psicologica di pareggiare i conti: ci sentiamo vittime di un delitto, perché qualcuno ha ucciso il nostro sentimento e rispondiamo al fuoco, per fare altrettanto male, istillare nell'altro il senso di colpa o per legittima difesa.
 
Pericolosissima come fase, non dovrebbe mai durare più del tempo strettamente necessario a far sbollire un po' la rabbia, altrimenti si rischia di rimanere intrappolati dal rancore, come sanno bene gli avvocati divorzisti. Essi devono gestire i propri clienti che nella maggior parte dei casi arrivano all'udienza presidenziale in questo stato di alterazione: persino quando sono in silenzio in attesa con i difensori ad aspettare il turno nei corridoi dei tribunali si sente l'aria carica di elettricità e si possono quasi vedere le scintille in aria quando gli sguardi dei (quasi ex) coniugi si incrociano.

Chiaramente sono parole inutili. Non credo che mai nessuno sia riuscito a far cambiare idea all'amato che si stava allontanando a furia di recriminazioni; anzi la situazione si fa esacerbata, si rovina il poco che si poteva salvare.
 Per quanto assurdo, però, persino l'acribia di questo segmento della storia è sempre sintomo di un forte attaccamento, almeno da parte di uno dei due, certo in una forma poco sana (stiamo parlando del rapporto in una fase patologica). Pur di mantenere un contatto purchessia, ci si logora in una escalation di litigi, recrimazioni e provocazioni che hanno lo scopo di tenere legato l'altro, perché non si è ancora pronti al distacco. È una forma di accanimento sentimentale, per ottenere l'attenzione del patner; dopotutto, il contrario dell'amore non è l'odio, bensì l'indifferenza.

domenica 10 novembre 2013

Insonnia d'amore


Non è che non ho sonno, è che non ho te.
Guido (utente twitter @guidofruscoloni)



     [So' Notti]

So' notti, notti insonni
Prive d'amore prive de sogni
Me giro e me rigiro dentro ar letto
So' notti insonni a guarda' er soffitto
Nun me addormento me sento solo
Allungo la mano e nun te trovo
Er còre piagne lacrime d'inchiostro
L'anima mia se fa vagabonda e cerca 'n posto
'N posto de pace, n'isola felice... Cerca la musica
ma tutto tace...
E tutto tace
So' notti insonni, notti d'assezio
Ascolto le note di questo silenzio
 
[Daniele CIOCCI -ottavo poeta #13]
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Poesia tratta da "Poeti de trullo".

sabato 9 novembre 2013

Il chiodo fisso

Si è sempre in crisi d'astinenza della persona amata. Tutto il resto non serve. Non basta. Non aiuta nemmeno ad attenuare il bisogno. 
Roberto Pellico (Utente twitter @RobertoPellico)

Mi dicono di non pensarci.
Ma se uno ha sete, cercare di non pensarci toglierà forse la sete?
Utente twitter Francesina (@lafranci82)

Le droghe non sono tutte uguali. Da quelle antropomorfe ci si difende con la lontananza.
Utente twitter Francesina (@lafranci82)
Love from a distance (MAGRITTE)
Durante il periodo del delirio amoroso accade tutto ciò che è descritto qui di seguito.

"L'innamorato, nei suoi comportamenti, presenta analogie con tre precise categorie di individui: gli affetti da disturbi ossessivi compulsivi, i tossicodipendenti, e le persone colpite da depressione.
  Tanto chi è innamorato quanto chi è affetto da OCD (Disturbo Ossessivo Compulsivo) perde la capacità di controllare il contenuto della propria mente. L'attenzione viene monopolizzata da pensieri e immagini che la volontà non riesce a scacciare. In entrambi i casi si manifestano difficoltà di concentrazione e impegno. Inoltre sia gli innamorati che gli affetti da OCD diventano superstiziosi e confondono pensiero e azione. Uno studio della psichiatra italiana Donatella Marazziti ha dimostrato che i i livelli della serotonina sono più bassi del 40 per cento tanto in che ha una diagnosi di OCD quanto in soggetti sani che si dichiarano innamorati.
  Sia innamorati che tossicodipendenti ed alcolisti avvertono costantemente un senso di incompletezza, sono consapevoli dell'irrazionalità dei loro comportamenti, ma non riescono a modificarli. Inoltre. l'incontro con una persona da cui sono attratti causa il rilascio nel cervello di feniletilamina, un composto simile all'anfetamina.   
  L'abbandono, invece, causa un brusco abbassamento del suo livello, che provoca chimicamente una reazione molto simile alla crisi di astinenza di un tossicodipendente. Uno studio di Semir Zeki pubblicato su "Neuroreporter" nel 2000 ha dimostrato che nell'innamoramento e nel consumo di oppiacei e cocaina le aree celebrali coinvolte sono le stesse.
  Quanto alla depressione, l'alternanza fra stati euforici e disforici dell'innamorato ricorda molto da vicino quanto accade nel disturbo bipolare. La semplice separazione dalla persona amata provoca normalmente apatia, insonnia, perdita di appetito, difficoltà di concentrazione, calo di interesse per le attività quotidiane, tutti sintomi comuni nella depressione." (*)

Purtroppo questa è una fase ineludibile e bisogna aspettare che passi, cercando di reagire, magari in compagnia di amici e di coloro che tengono a noi. Non allontaniamo chi cerca di aiutarci e non trattiamo male i malcapitati che ci sono intorno, per sfogarci, compresi i nostri cari e nuovi spasimanti, perché loro sì che ci amano veramente, a differenza di chi ci ha sputato via dalla sua vita, con noncuranza, come fossimo un pezzo di unghia spezzata!

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Tratto da "Cronaca di un disamore" di Ivan Cotroneo.

mercoledì 6 novembre 2013

L'ira funesta

Quando penso al mio ex mi viene sempre in mente la scena di Alice nel paese delle meraviglie con la regina che urla "Tagliategli la testa!!"
Bella ma antipatica Utente twitter  @BellaAntipatica

Sali da me, ti mostro la collezione di cicatrici e delusioni che mi hai procurato.
Poi ti uccido; così siamo pari.
P.B.

Durante la fase delirante una delle sfide più ardue è affrontare e gestire l'ira funesta che ci pervade.
  Sarebbe interessante fare un'analisi del termine, a partire dalla citazione più ovvia del "pelide Achille", per coglierne le differenze con i suoi sinonimi. Ad ogni modo, neanche un dottorato in semiotica vi darà una conoscenza approfondita del significante sotteso a ciascun sostantivo con cui solitamente ci si riferisce a questo stato emotivo: collera, frustrazione, rabbia, suscettibilità, incazzatura, stizza, fastidio, furia cieca e così via. Sempre e comunque un nemico forte e temibile, che, talvolta, sembra soverchiare le nostre capacità di difesa. È un mostro: ci assale e ci tiene in ostaggio a corrente alternata, per un arco di tempo variabile; anche quando dura poco sembra non finire mai.
  Una rabbia, per vero, neanche catartica, in quanto esalta la fissazione; si raggiungono livelli di ipereccitazione e maniacalità simili alla pazzia.

Allora uno prova ad allentare la tensione e scopre, però, che meditazione, candele, musica e tutta la paccottiglia consolatoria che provano a venderti in questo momento, lungi dall'aiutare, urta i nervi -già scossi- e alimenta l'inquietudine.
  Ti è amica, invece, la cattiveria (platonica, si intende). Sorprende constatare, infatti, che poche cose sono efficaci come immaginare tutte le forme di morte violenta che le fiction americane e nostrane ci hanno insegnato. Vengono in mente i particolari tecnici alla CSI e pensiamo che potremmo mettere alla prova l'abilità dei ROS di Parma, preparando un delitto perfetto in cui sparisca qualsiasi traccia.
  Quando, infine, si è giunti a scegliere ciò che indosseremmo per il "suo" funerale, sopraggiunge un lieve senso di colpa e lì parte la controprogrammazione: lui/lei che ci supplicano in lacrime di tornare con loro e noi che, sdegnati e tetragoni, respingiamo ogni tentativo. Nel gran finale noi siamo felicissimi accanto ad una nuova persona e lo/la sventurato/a vive fino a 102 anni e rimpiange di averci lasciati ogni singolo giorno della sua vita.

Patetico? Ridicolo? Non direi. Per Alcibiade l'innamorato è come un uomo morso da una vipera. Dicono che chi sia stato morso non è disposto a raccontare cosa ha provato se non ai compagni di sventura, perché essi soli comprendono e possono scusare ciò che egli ha osato dire e fare sotto l'effetto della sofferenza (*).

Sicché consiglio di praticare questo o qualunque cosa possa servire a stare meglio -purché legale e che non vada a cortare la volontà di alcuno-; poi ci sentirà pronti a raggiungere il gradino successivo.

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* Citazione tratta da "Cronaca di un disamore" di Ivan COTRONEO.