mercoledì 6 novembre 2013

L'ira funesta

Quando penso al mio ex mi viene sempre in mente la scena di Alice nel paese delle meraviglie con la regina che urla "Tagliategli la testa!!"
Bella ma antipatica Utente twitter  @BellaAntipatica

Sali da me, ti mostro la collezione di cicatrici e delusioni che mi hai procurato.
Poi ti uccido; così siamo pari.
P.B.

Durante la fase delirante una delle sfide più ardue è affrontare e gestire l'ira funesta che ci pervade.
  Sarebbe interessante fare un'analisi del termine, a partire dalla citazione più ovvia del "pelide Achille", per coglierne le differenze con i suoi sinonimi. Ad ogni modo, neanche un dottorato in semiotica vi darà una conoscenza approfondita del significante sotteso a ciascun sostantivo con cui solitamente ci si riferisce a questo stato emotivo: collera, frustrazione, rabbia, suscettibilità, incazzatura, stizza, fastidio, furia cieca e così via. Sempre e comunque un nemico forte e temibile, che, talvolta, sembra soverchiare le nostre capacità di difesa. È un mostro: ci assale e ci tiene in ostaggio a corrente alternata, per un arco di tempo variabile; anche quando dura poco sembra non finire mai.
  Una rabbia, per vero, neanche catartica, in quanto esalta la fissazione; si raggiungono livelli di ipereccitazione e maniacalità simili alla pazzia.

Allora uno prova ad allentare la tensione e scopre, però, che meditazione, candele, musica e tutta la paccottiglia consolatoria che provano a venderti in questo momento, lungi dall'aiutare, urta i nervi -già scossi- e alimenta l'inquietudine.
  Ti è amica, invece, la cattiveria (platonica, si intende). Sorprende constatare, infatti, che poche cose sono efficaci come immaginare tutte le forme di morte violenta che le fiction americane e nostrane ci hanno insegnato. Vengono in mente i particolari tecnici alla CSI e pensiamo che potremmo mettere alla prova l'abilità dei ROS di Parma, preparando un delitto perfetto in cui sparisca qualsiasi traccia.
  Quando, infine, si è giunti a scegliere ciò che indosseremmo per il "suo" funerale, sopraggiunge un lieve senso di colpa e lì parte la controprogrammazione: lui/lei che ci supplicano in lacrime di tornare con loro e noi che, sdegnati e tetragoni, respingiamo ogni tentativo. Nel gran finale noi siamo felicissimi accanto ad una nuova persona e lo/la sventurato/a vive fino a 102 anni e rimpiange di averci lasciati ogni singolo giorno della sua vita.

Patetico? Ridicolo? Non direi. Per Alcibiade l'innamorato è come un uomo morso da una vipera. Dicono che chi sia stato morso non è disposto a raccontare cosa ha provato se non ai compagni di sventura, perché essi soli comprendono e possono scusare ciò che egli ha osato dire e fare sotto l'effetto della sofferenza (*).

Sicché consiglio di praticare questo o qualunque cosa possa servire a stare meglio -purché legale e che non vada a cortare la volontà di alcuno-; poi ci sentirà pronti a raggiungere il gradino successivo.

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* Citazione tratta da "Cronaca di un disamore" di Ivan COTRONEO.

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