martedì 14 gennaio 2014

L'attesa.

La speranza non teme le basse temperature, appassisce solo se ogni tanto non la si annaffia con un po' di concretezza.
ComePrincipe (Utente twitter @Comeprincipe)

È che la speranza, dopo un po', andrebbe chiamata agonia.
Utente twitter @_comenondetto



Abbiamo esaminato nei post precedenti il tema dell'attesa dell'amato, il lungo, lungo intervallo di tempo in cui siamo prigionieri delle nostre speranze.

  È il momento questo in cui "percepiamo" che il partner (ormai ex) condivide i nostri sentimenti, li corrisponde in toto, ma per un qualche motivo -e noi siamo in grado di ipotizzarne a decine- non se ne è accorto o non vuole o può confessarlo.

   Tale sensazione è frutto di una nostra proiezione fallace e, per altro, confutata più e più volte dai fatti e dalla obiettività delle circostanze.
   Questo non cambia niente (per noi!). Ci ostiniamo a sottovalutare la completezza del "NO" ed enfatizziamo qualunque dettaglio sembri aprire uno spiraglio.
   Ovviamente, tranne che in casi eccezionali quanto le probabilità di vincere il superenalotto giocando una colonna semplice, ci stiamo sbagliando: è come appare; appare ciò che è.
   Però non siamo ancora pronti ad abbandonare la nostra gabbia, nonostante la porta sia spalancata.

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