lunedì 30 dicembre 2013

Dilaga il dolore.

Ho sassi nelle scarpe e polvere sul cuore, freddo nel sole e non bastan le parole". Vinicio Capossela

Torschlußpanik.  È il panico provato in era medievale quando il ponte levatoio si abbassava indicando un attacco dei nemici. Indica l’ansia provata quando ci si rende conto che la nostra vita va avanti e le chance di realizzare i “nostri sogni” diminuiscono ogni giorno; trasponendo questo concetto al discorso oggetto di questi ultimi post, possimo così denominare la fase più drammatica.
   È il momento in cui termina la nostra capacità di ingoiare le lacrime e il dolore inizia a tracimare. La spinta della rabbia si è esaurita, i nostri amici ritengono di aver adempiuto alla loro funzione consolatoria e si sono fatti convincere dai nostri "Sto bene!". Siamo soli, a tenerci compagnia non ci sono neanche le illusioni su cui ci siamo cullati per un po'.
   Ecco, questa è la fase peggiore. Indubitabilmente.
   La sofferenza diventa sorda, costante e scava dentro. Le giornate oscillano tra un "Vaffanculo, morisse!" e "Non posso vivere senza di lui/lei!". Tutto il resto sparisce.
  
È buio. L'alba sembra essere lontana come in una notte artica.

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